Personal branding

a cura di Maria Letizia Russo

Comunicazione, Lavoro | 14 Giugno 2020

Personal branding e freelance

Personal branding e freelance

Molti freelance si chiedono come trovare i clienti e cominciare a lavorare?
È una domanda impegnativa, la cui risposta dipende da molti fattori.
Primo tra tutti: qual è la tua caratteristica distintiva. Il secondo: qual è il tuo posizionamento.
Se sei un freelance, comprenderai allora quanto sia importante conoscere te stesso e avere un’idea di chi possano essere i tuoi clienti.

3 STEP FONDAMENTALI PER I FREELANCE

Il mio consiglio è di leggere l’articolo di Barbara Reverberi, giornalista freelance da molti anni, al punto da essere considerata una guida per molti professionisti che oggi sono freelance per scelta o per necessità.

Autrice del libro Freelance Digitali appena pubblicato, Barbara indica 3 step fondamentali per ogni freelance prima di trovare i clienti occorre

  • definire la propria buyer persona, il proprio cliente tipo
  • definire i servizi che si è in grado di offrire
  • ma soprattutto pro-muoversi.

L’articolo completo di Barbara Reverberi che illustra i passaggi fondamentali che ogni freelance dovrebbe sempre aver in mente.

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Comunicazione | 24 Maggio 2020

Emotional targeting

Emotional targeting

Quando parliamo del nostro personal brand dobbiamo prima di tutto avere chiaro quale obiettivo ci proponiamo di raggiungere e a chi rivolgerci, l’emotional targeting serve proprio a soddisfare questa seconda esigenza.

• Per quale motivo ci stiamo promuovendo?
• A chi vorremmo arrivasse il nostro messaggio, da chi desideriamo essere notati?

Spesso promuoviamo online la nostra attività o la nostra azienda senza effettuare un’analisi iniziale di questo tipo.

CONOSCERE IL PROPRIO PUBBLICO

Conoscere le persone cui ci rivolgiamo è uno degli elementi alla base del nostro personal branding, spesso invece si parte dalla fine, ossia dal promuoversi.
Anna Rachele Capolingua mi ha colpito nel marzo scorso durante un suo webinar in tema di emotional targeting, ossia la capacità di comprendere in modo empatico le emozioni del pubblico al quale ci rivolgiamo e non solo definire la nostra buyer persona attraverso l’identificazione oggettiva e un po’ asettica dei dati geografici, professionali, seniority o altro.

INTERCETTARE EMOZIONI, PAURE, BISOGNI

La promozione di noi stessi, come brand, parte dalla conoscenza profonda del nostro pubblico in relazione alle sue emozioni.

Per esempio il nostro potenziale cliente
• quali timori ha
• quali domande ci pone in modo ricorrente
• per quali motivi solitamente non acquista i nostri prodotti o servizi
• ha già avuto esperienze precedenti?

Le emozioni sono quindi l’elemento chiave da esaminare e denotano la scelta di porre le persone al centro della nostra strategia di comunicazione.
Scopriamo con l’articolo di Anna Rachele cosa significhi nella pratica identificare le emozioni della nostra buyer persona.

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Lavoro | 2 Aprile 2020

Mettici sempre la tua faccia

Personal branding, inizia con la foto giusta

Correva l’anno 1997 quando Tom Peters dichiarò nel celebre articolo The brand called you che ognuno di noi potesse essere un brand esattamente come lo sono le aziende. Se era possibile affermare ciò oltre 20 anni fa, a maggior ragione possiamo sostenerlo oggi grazie all’avvento del web e dei social media in quanto ognuno di noi può servirsi di questo nuovo concetto di brand per promuovere se stesso e creare un’immagine di sé riconoscibile. Proprio questo è il punto chiave: l’immagine di sé riconoscibile. Non devi essere uno qualsiasi, ma “quel professionista che svolge quella data attività in modo unico, con un suo stile personale di comunicazione”.

PROMUOVI TE STESSO MA SII COERENTE
Altro elemento chiave è la coerenza e quanto racconti di te nei profili social oppure nell’about del tuo blog dovrà esattamente essere ciò che dimostrano i contenuti che divulghi in rete e ciò che gli altri raccontano di te. Ebbene sì, nel web si parla, si conversa, si lasciano recensioni e saranno queste opinioni e testimonianze che rafforzeranno il tuo brand, anche sotto forma di commenti ad un tuo post sui social.

GENERA FIDUCIA
La fiducia è l’altro elemento che ti chiedo di non sottovalutare. Per generarla dovrai impegnarti ogni giorno, la fiducia delle persone online non è mai immediata, all’inizio sarai uno sconosciuto, poi pian piano sarai riconosciuto e solo a seguito di un impegno costante conquisterai il tuo pubblico. Ottenere la fiducia del tuo network presuppone di relazionarti online con messaggi privati, commenti ai post e presenza sui canali prescelti con i contenuti che interessano i tuoi follower, collegamenti o amici, citando Reid Hoffman co-fondatore di Linkedin: in realtà chi ti può aiutare veramente sono le persone che già hanno una forte fiducia in te e che sanno che sei un lavoratore intelligente e appassionato.

UN BRAND PERSONALE VA COSTRUITO E POSIZIONATO
Si parla così di costruzione e posizionamento di un brand personale esattamente come si fa per un brand aziendale. Gli elementi da tenere in considerazione sono i medesimi: preesistenza – chi in rete già parla di te?; obiettivo – qual è l’esigenza per cui desideri essere visibile online?; buyer persona – a chi ti rivolgi e chi vuoi intercettare in rete?; piano strategico – quali sono gli strumenti digitali migliori?; naming – come vuoi essere riconosciuto? Semplicemente con il tuo nome e cognome o con uno pseudonimo?; brand identity – Quale immagine per il tuo brand?; comunicazione della propria unique selling proposition – In cosa ti distingui rispetto a chi offre i medesimi servizi e prodotti?
Quella che all’apparenza è l’autopromozione di se stessi online mostra con evidenza caratteristiche degne delle migliori strategie di marketing aziendale. Meglio andare per gradi e arriverai alla definizione del tuo brand, solo allora sarai pronto per lanciarlo sul mercato.

BRAND IDENTITY
Io direi che possiamo partire da qui, perché ricorda che la riconoscibilità del tuo brand personale passa attraverso la tua identità visiva. Devi scegliere una fotografia quindi, da inserire nel blog e sui canali social, che sia professionale al punto giusto, ma che trasmetta in modo coerente chi sei. Il mio invito è di leggere l’articolo qui suggerito relativamente alla foto profilo su Linkedin, il social su cui molti non inseriscono neppure la propria fotografia, perché su Linkedin, a differenza di quanto fanno su altri Social media come Facebook, non amano mostrarsi. Deve invece essere chiaro che la brand identity di ognuno di noi richiede assolutamente un’immagina a cui essere associati. E quanto tempo prima del web Oscar Wilde pronunciò la nota frase “Non c’è una seconda occasione per fare una buona prima impressione”? Frase oggi quanto mai attuale al punto che possiamo addirittura parlare di “social prima impressione”.

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Lavoro, Social media | 30 Aprile 2020

I consigli di Alessandro Vercellotti

Brand da tutelare e social media policy

I migliori ambassador del brand aziendale sono i dipendenti, ci avevi mai pensato? Luca Maniscalco nel recente libro Afferma il tuo brand con Linkedin scrive con disarmante semplicità: «Coinvolgi le tue persone», è uno dei pilastri per riuscire a ottenere una company page performante. Se non ci credono i tuoi dipendenti e colleghi come potranno mai fidarsi della tua azienda i potenziali clienti?

COME COINVOLGERE LE PERSONE
Cosa significa all’atto pratico coinvolgere le persone dell’azienda su Linkedin?
Certamente vuol dire:
• informarle sull’attività che l’azienda intende svolgere su Linkedin
• insegnare un utilizzo professionale della piattaforma invogliando ad compilare e ottimizzare il profilo secondo le best practice aziendali di utilizzo
• mettere a disposizione dei dipendenti contenuti e documentazione da condividere
• invogliare all’utilizzo di Linkedin in ottica win-win per azienda e dipendenti

CONTENUTI PUBBLICATI DAI DIPENDENTI
Certamente la presenza dei dipendenti su Linkedin ha risvolti positivi per l’immagine aziendale, i contenuti sulla pagina Linkedin per raggiungere un pubblico maggiore, necessitano di interazioni e i primi a dover interagire sono teoricamente proprio di dipendenti. Inoltre dobbiamo assolutamente tenere conto del fatto che dall’analisi dei contenuti postati su LinkedIn emerge che il tasso di engagement arriva addirittura a raddoppiare quando è un dipendente che si fa portavoce di contenuti relativi all’azienda, questo perché la comunicazione che parte dal basso (bottom-up) riceve certamente più seguito rispetto alla comunicazione dall’alto (top-down), le persone tendono a riconoscersi con chi è di pari grado e quindi interagiscono spontaneamente e in maggior misura. Ecco quindi che si realizza quello che con un termine proprio del marketing chiamiamo employee advocacy, ossia i dipendenti diventano advocates, sostenitori dell’immagine aziendale quale luogo di lavoro diffondendo spontaneamente contenuti che parlano dell’azienda e della vita aziendale.

NON TUTTI I COLLABORATORI SONO UGUALI
Ma tutti i dipendenti si prestano ad utilizzare Linkedin o altri social media parlando dell’azienda? 1) Inattivi: coloro i quali non sono interessati ad attività social nell’interesse aziendale, probabilmente già di loro non amano i social e non hanno motivazione all’utilizzo; 2) detrattori: coloro che vanno contro le richieste dell’azienda, sono diffidenti e poco impegnati; 3) reattivi: hanno un livello di affezione medio all’azienda, a volte sono critici a volte attivi; 4) iperattivi: usano al massimo i social media, vanno conquistati perché non sempre la loro iperattività è positiva; 5) proattivi: sono attivi positivamente, sono a favore dell’azienda e disposti ad utilizzare i social media per darle valore. Quindi tra gli inattivi e i proattivi ci sono un insieme di categorie che coscientemente o meno potrebbero utilizzare i social in modo errato, causare un danno all’immagine aziendale con ripercussioni non solo sul brand in quanto luogo di lavoro ma anche sul prodotto.

LA SOCIAL MEDIA POLICY DA ADOTTARE
Le aziende potrebbero evitare tutto ciò chiedendo o imponendo al dipendente di non utilizzare gli strumenti social? Oppure, vista la positività dell’utilizzo di una comunicazione per l’employee advocacy, possono chiedere ai dipendenti di utilizzare i social media per comunicare il brand aziendale? E se i dipendenti sbagliano? Di chi è la responsabilità? Sono temi quanto mai attuali, il personal branding è cruciale per tutti, un danno alla propria immagine può avere notevoli effetti negativi e così sempre più aziende si tutelano attraverso un documento di valenza legale, la social media policy. Per dar risposta a queste domande su un tema oggi sempre più attuale, vi invito a leggere l’articolo dell’avvocato Alessandro Vercellotti, specializzato in diritto del digitale, che vi aiuterà a comprendere i vantaggi per le aziende di una social media policy che disciplini internamente e/o esternamente l’utilizzo dei social media.

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Lavoro | 28 Aprile 2020

Visual identity

Visual identity, importante per personal branding

Quando parliamo del nostro personal branding ormai è chiaro che contano moltissimo i contenuti che diffondiamo in rete, gli articoli che scriviamo, gli eventi cui prendiamo parte, i libri che pubblichiamo ma assolutamente è importante costruire anche una propria visual identity. Un forte elemento di branding potrebbe essere la presenza di un colore dominante che accompagna la nostra presenza online , oppure utilizzare grafiche simili per i post sui social, la medesima fotografia, un carattere grafico o una palette colori che ci accompagni ovunque e non solo sul nostro sito. Tutto ciò è per molti una novità e nel momento in cui avviano un progetto di creazione della propria identità digitale restano quasi stupiti nell’apprendere che la propria identità ha anche un valore visivo notevole e che nulla va lasciato al caso. Da non sottovalutare poi che una strategia di personal branding deve essere idoneamente supportata da contenuti visivi il più possibile coerenti con la persona al centro della strategia

COMUNICAZIONE VISIVA, L’USO DEI COLORI
I colori ma anche le forme sono fondamentali. La comunicazione online raggiunge facilmente tante persone e lascia in loro ricordi, sensazioni, emozioni. Tutto ciò e legato non solo a cosa comunichiamo ma anche in gran parte a come comunichiamo. Che soddisfazione pubblicare il proprio blog personale e sentirsi dire che ci somiglia, che il nostro blog ci rappresenta perfettamente, un po’ come avviene quando si inaugura una nuova casa e gli ospiti concordano nel dire che la scelta dell’arredamento o dei colori sulle pareti è in linea con il nostro stile e i nostri gusti.

NUOVE PROFESSIONI PER IL PERSONAL BRANDING
Ecco perché esistono oggi professioni nuove, come quella degli specialisti in personal branding e comunicazione reputazionale che lavorano in team con web designer, consulenti Linkedin ed esperti di strategia digitale. Il personal branding è un’altra disciplina che rientra nel vasto universo del marketing moderno e come tale non è esonerata dall’importanza delle immagini e dei colori, ma soprattutto delle sensazioni che suscitano quando vengono collegate a una persona e non solo a un’azienda. Marta Fornasiero, specializzata in comunicazione reputazionale, ha intervistato Anna “la Tati” Cervetto, art director e graphic web designer per comprendere meglio cosa contribuisce a creare una visual identity nel personal branding: clicca a lato per leggere l’intervista.

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Lavoro | 23 Aprile 2020

I consigli di Francesca Taddei

Customer experience, miglior cura del brand

Correva l’anno 1999 quando quattro americani specialisti di marketing, comunicazione ed economia si riunirono per descrivere lo scenario che il web avrebbe aperto di lì a poco al business, alle aziende, ai clienti, ai dipendenti e a chiunque si fosse interfacciato con loro. Rick Levine, Christopher Locke, Doc Searls e David Weinberge scrissero 95 tesi organizzate e le pubblicarono con il nome di Cluetrain Manifesto.

TESI DEL CLUETRAIN MANIFESTO
Ma perché vi racconto questa storia? Perché ancora oggi le tesi del Cluetrain Manifesto sono per me quanto di più vero, vivo, attuale e intramontabile sia mai stato scritto a proposito del Web.«I mercati sono conversazioni», così esordisce il Cluetrain Manifesto con una tesi che fa tremare per la sua perentorietà e nel suo essere tutto il contrario di quanto si pensasse allora.

QUALE REAZIONE DI FRONTE AI MERCATI CHE CONVERSANO
Come sarebbe a dire conversazioni? Questo avranno pensato tutti! I mercati sono marketing, slogan, pubblicità, aziende che piazzano cartelloni pubblicitari ovunque, reclame in tv e i consumatori che passivamente subiscono senza poter dire pubblicamente cosa ne pensano. Cosa è mai questa novità dei mercati che conversano? E pochi anni dopo i mercati hanno visto diffondersi:
• blog,
• social media,
• campagne email,
• recensioni online e molto altro.
In pochissimi anni i mercati hanno iniziato a conversare, a parlare delle aziende attraverso la voce di clienti, fornitori, dipendenti e chiunque fosse entrato in contatto con loro, rendendo quanto mai vera, autentica e infinitamente attuale la tesi con cui si apre il Cluetrain Manifesto.

CLUETRAIN MANIFESTO ATTUALISSIMO
Molte tesi del Cluetrain Manifesto, che allora apparivano rivoluzionarie ed estreme, adesso sono quanto mai attuali. Purtroppo ancora oggi non tutti hanno compreso pienamente cosa significhi avere una presenza online, affrontare un mercato iperconnesso che parla di noi, aziende e professionisti indifferentemente.

IN COSA SI TRADUCE UN MERCATO CHE CONVERSA ONLINE
Oggi assistiamo a un continuo scambio delle conoscenze e delle informazioni sulle aziende, tutto ciò necessità di un tono di voce sempre più umano da parte dell’entità azienda che si rivolge ai soggetti online. Con l’avvento del web le aziende non sono più le sole a poter comunicare e devono necessariamente scendere dal loro piedistallo smettendo di parlare con il tono della mission aziendale nelle brochure istituzionali anni 90, diversamente il rischio è di apparire come la corte francese nel settecento. Oggi un brand che cura se stesso non deve dare nulla per scontato, occorre molta attenzione a non commettere passi falsi, occorre innanzi tutto dialogare con i clienti, non abbandonarli mai sin dall’inizio, che si tratti di un lead ossia di un semplice contatto ancora da sviluppare oppure di un cliente che ha già acquistato il prodotto, è fondamentale farsi riconoscere come un’azienda “umana” oppure come un professionista “attento” e non essere artefatti e omogenizzati in un tono di voce freddo e uguale per tutti.

  • sia nei mercati interconnessi che tra i dipendenti delle aziende intraconnessi, le persone si parlano in un nuovo modo. Molto più efficace;
  • queste conversazioni in rete stanno facendo nascere nuove forme di organizzazione sociale e un nuovo scambio della conoscenza;
  • il risultato è che i mercati stanno diventando più intelligenti, più informati, più organizzati. Partecipare a un mercato in rete cambia profondamente le persone;
  • le persone nei mercati in rete sono riuscite a capire che possono ottenere informazioni e sostegno più tra di loro, che da chi vende. Lo stesso vale per la retorica aziendale circa il valore aggiunto ai loro prodotti di base;
  • non ci sono segreti. Il mercato online conosce i prodotti meglio delle aziende che li fanno. E se una cosa è buona o cattiva, comunque lo dicono a tutti;
  • le aziende non parlano con la stessa voce di queste nuove conversazioni in rete. Vogliono rivolgersi a un pubblico online, ma la loro voce suona vuota, piatta, letteralmente inumana;
  • appena tra qualche anno, l’attuale “omogeneizzata” voce del business – il suono della missione aziendale e delle brochures – sembrerà artefatta e artificiale quanto il linguaggio della corte francese nel settecento;
  • se le aziende pensano che i loro mercati online siano gli stessi che guardavano le loro pubblicità in televisione, si stanno prendendo in giro da sole;
  • le aziende che non capiscono che i loro mercati sono ormai una rete tra singoli individui, sempre più intelligenti e coinvolti, stanno perdendo la loro migliore occasione;
  • le aziende possono ora comunicare direttamente con i loro mercati. Se non lo capiscono, potrebbe essere la loro ultima occasione;
  • le aziende devono capire che i loro mercati ridono spesso. Di loro.

MAI PIÙ “GENTILE UTENTE”, CUSTOMER EXPERIENCE IN PRATICA
Questo mi colpì partecipando ad un evento della Milano digitale nel 2017, quando durante lo speech inaugurale del Marketing Business Summit, Francesca Taddei specialista della customer experience parlò di clienti in un modo nuovo e tassativamente bandì per sempre la locuzione “Gentile utente” dall’incipit delle email, dalle newletter e da ogni forma di comunicazione online e offline. L’esperienza del cliente nel suo viaggio verso il nostro prodotto è fondamentale e cruciale affinché poi, il cliente stesso, possa parlare bene di noi e della nostra azienda proprio in quelle conversazioni che oggi più che mai rappresentano l’essenza dei mercati online e fanno bene a nostro brand. Ecco perché ritengo che oggi la customer experience debba essere da tutti conosciuta e presa in considerazione all’avvio di qualsiasi attività per il personal branding aziendale o personale.

Leggi l’articolo completo di Francesca Taddei sulla customer experience spiegata semplice.

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Lavoro | 22 Aprile 2020

I consigli di SEMrush

Anche le aziende hanno il loro personal brand

Oggi grazie al web chiunque di noi, in quanto professionista, può promuovere il proprio brand, generare fiducia con strumenti online sino al meritato traguardo della riconoscibilità. Paradossalmente i singoli hanno emulato le aziende nel fare tutto ciò, ma oggi le aziende nel web come si relazionano con il proprio personal branding? Uno degli elementi fondamentali per il brand aziendale è la riconoscibilità e apprezzamento in quanto luogo di lavoro, ed in tal caso parliamo di employer branding.

TEMPO DI EMPLOYEE CENTRICITY
Ogni azienda dovrebbe curare la propria immagine in quanto datore di lavoro e non solo in quanto promotore dei propri prodotti o servizi. Ciò presuppone la conoscenza del mercato di riferimento proprio perché è oggi fondamentale mettere al centro della propria strategia le persone e non il prodotto. Nel marketing moderno l’ottica si allontana sempre dal prodotto e dall’azienda, per avvicinarsi alle persone si passa da una visione product centric ad una customer centric quando le attività di marketing sono finalizzate alla vendita. si parla altresì di employee centricity quando ci si focalizza sulle persone in quanto dipendenti o aspiranti tali.

COME E QUANDO FARE EMPLOYER BRANDING
Due sono le domande che più spesso mi vengono poste sul tema dell’employer branding: 1) come fa un’azienda a sviluppare una strategia che promuova il brand in quanto luogo di lavoro?; 2) se un’azienda non ha assunzioni in corso a cosa serve promuoversi? L’employer branding è un vero e proprio ramo del marketing, ma a differenza degli altri realizza pienamente la tesi di David Packard secondo cui il marketing è oggi troppo importante per essere lasciato solo al reparto marketing e, infatti, l’employer branding presuppone l’interazione tra chi si occupa di marketing, comunicazione e risorse umane. il comparti marketing e comunicazione mettono a disposizione la conoscenza degli strumenti per creare e divulgare i contenuti, per intercettare i giusti interlocutori sulle piattaforme in cui sono presenti, gli HR mettono a disposizione la conoscenza del mercato del lavoro per indicare cosa comunicare e a chi deve arrivare il messaggio finale.

L’EMPLOYER BRANDING PAGA SEMPRE
Vale sempre la pena fare employer branding per un’azienda, anche nei momenti di contrazione del mercato non conviene abbassare la guardia, se un’azienda è percepita positivamente in quanto luogo di lavoro, otterrà un maggior numero di candidature spontanee riuscendo ad abbattere i costi di selezione del personale. Mi pare un ottimo motivo per proseguire con queste attività di marketing anche laddove non ci siano assunzioni imminenti. Ho provato a spiegare nel dettaglio cosa significhi l’employer branding per le aziende in questo articolo sul blog SEMrush.

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Formazione, Lavoro | 26 Marzo 2020

La regola del 7-38-55

Personal branding è comunicare online

Cosa c’è di più ovvio dell’affermazione che comunicare online è oggi più che mai fondamentale? Se lo era in passato, adesso, grazie all’avvento del digitale, è sempre più un elemento imprescindibile per la corretta costruzione di una strategia di branding. Comunicare è essenziale, ma soprattutto comunicare bene, il che vuol dire coerentemente con il proprio ruolo e personalità, non solo occorre far percepire cosa vuoi dire ma anche il come lo dici ha il suo peso. Costruire il tuo personal brand è impensabile se non sai comunicare nel modo corretto.

NIENTE PIÙ ESPERTI E LEADER DI SETTORE
Chi utilizza con successo Linkedin per il proprio professional branding conosce molto bene l’importanza del comunicare agli altri le proprie skill, infatti la comunicazione che effettui online avvalora le tue competenze, non basta ciò che scrivi nel tuo profilo Linkedin, le persone si aspettano di leggere ciò che racconti nel tuo sito ma anche sui social, in merito al tuo lavoro, esperienza, capacità. Non basta più ai professionisti definirsi esperti né alle aziende proclamarsi leader del settore: è il mercato, sono le persone online in un mondo iperconnesso a decidere chi è esperto e leader, e innegabilmente premieranno e sceglieranno chi è in grado di comunicarlo meglio.

STAVAMO MEGLIO QUANDO COMUNICAVAMO MENO?
Tutto era più semplice quando non esisteva il web? Istintivamente potremmo dire di sì, perché la percezione di noi stessi passava anche attraverso il canale espressivo, che la comunicazione online, fatta salva (in parte) quella tramite video, non offre. Però, di contro, avevamo a disposizione un pubblico decisamente inferiore, costituito solo da chi già conoscevamo e potevamo diffondere la conoscenza di noi solo attraverso il passaparola. Oggi il web ha reso più democratica la diffusione delle informazioni, non solo le aziende possono farsi conoscere ma anche i professionisti o chi lavora nelle aziende medesime. Generare nuovi contatti e quindi ampliare le proprie possibilità di business è oggi molto più semplice grazie all’avvento del digitale, ma certamente il linguaggio del corpo è stato in questo penalizzato e messo da parte.

CUSTOMER CENTRICITY: HELP DON’T SELL
Se pensi di poter parlare online di te o peggio dei tuoi prodotti o servizi, stai sbagliando. Non solo è finita l’epoca delle aziende leader ma anche quella in cui il marketing poneva al centro della comunicazione il prodotto, oggi se vuoi destare interesse nella tua strategia di comunicazione devi mettere al centro le persone e se il tuo personal branding ha come obiettivo finale la vendita devi mettere il cliente al centro. Di cosa parlerai quindi? Di problemi e di soluzioni. Farai del concetto help don’t sell la chiave della tua comunicazione digitale. ma quindi che peso hanno oggi nella comunicazione online, il cosa, il come ed il linguaggio del corpo? Ce lo spiega Marta Fornasiero, specializzata in comunicazione reputazionale e Linkedin

LEGGI SUBITO L’ARTICOLO DI MARTA FORNASIERO sulla regola del 7-38-55 nella comunicazione online.

COSA ENTRA IN GIOCO NELLA COMUNICAZIONE?
Se pensi che comunicare online sia solo scrivere in merito ad un argomento oppure trattare un tema in un articolo, stai sbagliando. Il cosa è importante ma in gran parte ciò che fa la differenza è il come si comunica rispetto ad altri. e se decidi di farti conoscere online, devi sapere che non sarai nemmeno totalmente padrone di scegliere quali argomenti trattare. per comunicare bene nel web ti occorre la consapevolezza di dover suscitare l’interesse del lettore e per riuscirci ti consiglio di scrivere in merito agli argomenti che il lettore desidera leggere, quelli su cui si documenta e che ricerca già per approfondire e informarsi, occorre così mettere in secondo piano il tuo interesse perché è il tuo pubblico online il vero protagonista e ti ruberà la scena, sempre. La comunicazione online richiede: conoscenze digitali che vanno oltre la modalità di scrittura di un articolo; acquisire skill trasversali; conoscere tool di ricerca temi e parole chiave degni di esperti del blogging.

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